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Var Industries: tutti i particolari e le strategie della nuova bu di Var Group per digitalizzare il manifatturiero


Di Barbara Weisz ♦︎ Var Industries, bu di Var Group, ha le idee chiare su come supportare la digitalizzazione delle pmi manfatturiere. Si pone come unico interlocutore per abilitare la servitizzazione e la produzione 5.0. Il focus sulla GenAI. Gli strumenti per la parte consulenziale. La strategia di crescita basata su acquisizioni mirate e investimenti interni. L'approccio lean e il concetto di leadership diffusa. Ne parliamo con Filippo D'Agata, managing partner della nuova business unit.

Una struttura interamente dedicata al software per il manifatturiero, che fattura oltre 50 milioni, ha un programma di acquisizioni in diversi paesi europei, con target in alcuni casi già individuati. E prevede di crescere del 10-12% annuo, puntando anche su investimenti interni: ci sono 20 assunzioni in programma in Italia e altre dieci nelle subsidiaries estere. Sono i numeri e i piani di Var Industries, la nuova business unit di Var Group. Riunisce l’esperienza di altre realtà che facevano già parte del gruppo creando un unico soggetto che parte con un portafoglio di oltre 3mila clienti e una mission precisa: «integrazione, integrazione, integrazione». A parlare così è Filippo D’Agata, insieme a Carlo Pinferi managing partner della nuova business unit, che ci tiene sottolineare un punto punto di forza: «oggi Var Industries non ha competitor in Europa. Abbiamo moltissimi concorrenti sulle linee prodotto, ma non esiste una struttura di 200 persone che può proporsi con un portafoglio prodotti così ampio per ingegneria e produzione».

L’idea è quella di fornire alle imprese manifatturiere un unico interlocutore che possa occuparsi di tutti gli aspetti della digitalizzazione, attraverso tecnologie e servizi in grado di rendere la produzione 5.0 e abilitare nuovi modelli di business, come la servitizzazione. Ci sono importanti piani sull’IA, anche generativa, con strumenti soprattutto per la parte consulenziale. Ma innanzitutto c’è l’idea di proseguire sulla strada della crescita: «intendiamo incrementare la nostra presenza in Francia e Spagna, o acquistando nuove realtà oppure investendo internamente», sottolinea D’Agata, che intervistato da Industria Italiana spiega che sono già stati individuati obiettivi specifici, ovvero aziende da acquistare in entrambi i paesi. E ci sono progetti in questo senso anche per l’Italia, dove gli sforzi si concentrano anche sul potenziamento delle competenze interne: «stiamo pianificando 20 assunzioni, e altre 10 nelle subsidiaries estere».

Var Industries riunisce quelli che il managing director definisce «i due maggiori distributori europei di Siemens», ovvero Cadlog per l’elettronica e Tech Value per la meccanica, oltre a Pbu e al team interno di sviluppo software di Var Group. Si rivolge alle imprese dell’industria in senso stretto, soprattutto pmi che fanno prodotti complessi. Come detto è una nuova business unit di Var Group, system integrator da 815 milioni di fatturato (stima previsionale) guidato da Francesca Moriani, che a sua volta fa parte di una realtà più grande, il gruppo Sesa, quotato sul segmento Euronext Star di Borsa Italiana. Approfondiamo la mission e gli obiettivi attraverso l’intervista al managing partner Filippo D’Agata.

D: A quale strategia risponde la nascita della business unit? E che vantaggi porta alle imprese clienti? R: L’operazione risponde a tre richieste del mercato, che sono: integrazione, integrazione e integrazione. Le aziende sono piene di tool non integrati fra loro. Negli anni ’90 nei prodotti informatici si cercavano le performance. Oggi i tool fanno cose spesso del tutto preponderanti rispetto alle necessità dei clienti. Ed è cambiata completamente la volontà di integrare, anche a causa del tipo di proposta che c’è sul mercato. Ci sono molti esperti diversi, il cliente deve rivolgersi a troppe persone. Per fare un esempio calzante, è un po’ quello che succede quando ristrutturiamo casa: arrivano l’idraulico, il muratore, l’elettricista, e magari non si mettono d’accordo su come organizzarsi. Noi siamo muratore, idraulico ed elettricista. Ci proponiamo come una struttura di 200 persone che supporta l’area ingegneria e l’area evoluzione, ed è una formula che in questo momento non esiste sul mercato.

D: Quali sono i numeri da cui partite e i progetti di crescita? R: Fatturiamo circa 50 milioni di euro, che significa circa l’8% dei ricavi di Var Group.

D: A che tipo di imprese si rivolge Var Industries? R: La nostra proposta va incontro ad aziende che fanno prodotti complessi. È questo il campo nel quale riusciamo a enfatizzare maggiormente la nostra competenza. Prendiamo un’azienda che realizza ingranaggi per la biciclette, quindi un prodotto che ha solo caratteristiche meccaniche. Possiamo essere competenti, ma come noi ci sono altre realtà competitive sul mercato. Se invece il prodotto è più complesso, ad esempio una bicicletta elettrica, oltre alla meccanica subentrano elettronica, cablaggi, software. Significa anche avere una struttura operativa più complessa, ci saranno diversi gruppi di progetto specializzati nelle varie aree. E in questa situazione la nostra proposta è particolarmente adatta.

D: Quindi non rilevano le dimensioni dell’impresa, o il settore di appartenenza? R: Il settore è il manifatturiero, e abbiamo una particolare predisposizione per le pmi. Una grande azienda, prendiamo ad esempio Leonardo, ha strutture interne importanti, con centinaia di progettisti e risorse. In un’azienda con 20 o 30 persone in progettazione possiamo fare la differenza consentendo di arrivare sul mercato con prodotti e progetti strutturati e una gestione del dato univoca e coerente.

D: Avete prodotti differenziati per le diverse esigenze delle imprese? R: Abbiamo due linee di prodotto. La linea enterprise, interamente rappresentata da Siemens, e una linea professional, con prodotti più leggeri, meno importanti anche dal un punto di vista dell’investimento hardware, e qui oltre a Siemens abbiamo anche altri fornitori, come Alexide. Questa è un’offerta che per le aziende più piccole può essere accattivante, è semplice come installazione, meno costosa come implementazione.

D: Il vostro modus operandi prevede di implementare la digitalizzazione nel rispetto della vision imprenditoriale dell’impresa cliente. Come fate a coniugare questi due aspetti? R: Con la competenza. Cerchiamo di parlare la lingua del cliente, non proponiamo subito il prodotto. Ma ascoltiamo le sue esigenze. La differenza fra noi e i vendor è che questi ultimi hanno come scopo primario il loro prodotto. Noi siamo client centered. Quindi, pensiamo a come rispondere all’esigenza specifica del cliente: può essere un tool, ma anche un differente flusso di dati o processo, oppure la personalizzazione di prodotti già esistenti, un maggiore training, consulenze specifiche su come approcciare certe tematiche. Per esempio, abbiamo appena acquistato un’azienda di simulazione fluidodinamica, un’operazione complessa che ha bisogno di molte competenze. Ci sono clienti a cui proponiamo il prodotto, ma per chi ha bisogno solo un paio di volte all’anno di capire come simulare il prodotto finito, subentriamo come servizio.

D: Parliamo dei programmi di sviluppo futuro. Avete annunciato 1 milione di euro di investimenti per aumentare la vostra offerta e 10 milioni per operazioni di merger and acquisition. Puntate quindi soprattutto sulla crescita per linee esterne? R: In realtà c’è anche una terza dimensione, quella territoriale. Siamo presenti in Italia, Germania, Francia e Spagna, con circa 210 persone in tutto. Ma non c’è una situazione paritetica fra i quattro paesi: abbiamo circa 90 persone in Italia, un centinaio in Germania, dieci in Francia e quattro in Spagna. Intendiamo incrementare la nostra presenza in Francia e Spagna, o acquistando nuove realtà oppure investendo internamente. Quindi, la nostra strategie prevede la crescita per linee esterne, ma naturalmente dobbiamo trovare i target.

D: Avete già obiettivi specifici? R: Si, abbiamo due attività nuove in Francia, altre due possibilità in Spagna, e un’operazione più contenuta in Germania.

D: In Italia invece puntate maggiormente sulle assunzioni, quindi sulla crescita per linee interne? R: Stiamo pianificando 20 assunzioni in Italia, e altre 10 all’estero. Ma anche in Italia abbiamo alcuni target di acquisizione, aziende molto verticalizzate con competenze specifiche.

D: Obiettivi di crescita? R: Vogliamo mantenere una crescita sostenibile, fra il 10 e il 12 per cento annuo. Al netto di eventuali operazioni strategiche di grande impatto, che però al momento non sono all’orizzonte.

D: Parliamo di intelligenza artificiale. È una tecnologia su cui puntate, come del resto tutti i vostri competitor… R: C’è una cosa importante da dire a questo proposito. Oggi Var Industries non ha competitor in Europa. Abbiamo moltissimi concorrenti sulle linee prodotto, ma non esiste una struttura di 200 persone che può proporsi con un portafoglio prodotti così ampio per ingegneria e produzione. Ci tengo a sottolineare questo aspetto fondamentale.

D: Ma avete una strategia sull’IA? R: Sarà un doppio passaggio. Uno verso l’esterno, a supporto di alcune attività specifiche del cliente. E un altro progetto molto importante, tutto interno, per utilizzo dell’IA in abito di post vendita.

D: In ottica di servitizzazione? R: Esattamente, abilitiamo i nostri clienti all’utilizzo dell’intelligenza artificiale per ricorrere a problematiche di consulenza o per fornire supporto all’utilizzo dei tool. Quindi, la gestione della knowledge base.

D: Utilizzate IA generativa? R: Vorremmo portarla avanti per la parte consulenziale, questo è un passaggio molto importante, su cui non posso dire di più.

D: Parliamo allora delle soluzioni di IA che avete già inserito nei prodotti? R: Penso per esempio a un prodotto per un nostro cliente che progetta schede elettroniche. Il tool di IA consente di scegliere a livello mondiale i componenti migliori in termini di prezzi, delivery, obsolescenza. Quindi, di fare una progettazione guidata anche dal costo. Un’altra cosa su cui Siemens sta lavorando molto è la user experience. A breve, avremo un’offerta che uniforma l’esperienza utente per l’80 per cento dei prodotti che proponiamo. Quindi, lo stesso look per software che fanno cose diverse, per favorire un utilizzo da parte del cliente che non sia più completamente verticale, ma consenta di passare da un tool all’altro grazie a una user experience riconoscibile che è anche auto-adattiva, impara in base ai comportanti.

D: Posso chiederle qual è la sua vision su come l’IA cambierà la fabbrica? R: Partirei da un concetto più ampio: cambierà il lavoro di tutti i lavoratori dipendenti. Noi siamo l’ultima generazione che ha imparato a fare le cose manualmente. Io continuo a fare l’organigramma con righello e penna, ma adesso ci sono sofisticati software di gestione delle HR che consentono di gestire le persone in organizzazioni complesse. Voglio dire che prima il lavoratore era padrone di se stesso e delle proprie attività, e interagiva con le macchine padroneggiandole. Le nuove generazioni sono delle cyber-persone, dal punto di vista aziendale. Per ogni persona che arriva, non bisogna più pensare solo alla ral, lo stipendio. Oggi assumere una persone significa predisporre anche un pacchetto software senza il quale la persone non può lavorare. Questa mi sembra una grossa novità, la persona in azienda arriva con il suo know how, ma ha anche bisogno di tool per contribuire alle attività aziendali in modo completamente digitale.

D: Questo toglie importanza alle competenze della persona o viceversa? R: Nessuna delle due cose, è semplicemente un’evoluzione. Spesso si sente dire che i giovani non sanno più come si fa un motore, sanno solo usarlo. Ebbene, non è una critica, è un cambiamento: prima il lavoratore magari sapeva tutto del motore, ma oggi ha difficoltà a gestire centinaia di applicazioni diverse. È un differenza evolutiva: prima sapevamo tutto di pochi argomenti specifici, le nuove generazioni sanno poco di tutto.

D: Var Group ha una filosofia aziendale basata su una gestione lean e sulla leadership diffusa. Come funziona nella pratica? R: È un cambiamento profondo che richiede impegno. Prima in azienda il manager dava direttive e poi aspettava legittimamente il risultato. Quando sono entrato nel mondo del lavoro, qualche decennio fa, non si metteva in discussione quello che diceva l’amministratore delegato. Devo dire che ho cominciato a fare l’imprenditore a 22 anni, e questa impostazione non mi piaceva. La leadership diffusa invece mette l’accento sulle competenze delle persone, senza enfatizzare le differenze di ruolo. Nelle organizzazione gerarchiche invece succede il contrario.

D: Quindi la leadership diffusa prevede una maggior responsabilizzazione delle persone? R: Esattamente, viene privilegiata l’orizzontalità delle persone, ci sono meno livelli, o anche zero livelli, con la gerarchia mutevole in base ai processi su cui si lavora. Se su un progetto il leader è un mio collaboratore, io svolgo una funzione di supporto, ma è il project leader che mi dice cosa devo fare, perché ha il polso della situazione e la responsabilità della specifica attività. In questo modo, le persone si responsabilizzano. Ma c’è anche un rovescio della medaglia: tante persone, soprattutto profili tecnici, tendono a non voler decidere, preferiscono avere indicazioni precise da seguire. Con queste persone bisogna lavorare molto.

D: Il processo decisionale e l’organizzazione non risentono negativamente di questa filosofia manageriale? R: Solo a livello temporale, nel senso che i processi possono risultare più lenti. Ma c’è il vantaggio di una maggior consapevolezza della forza lavoro, le persone risultano più soddisfatte.

Fonte: Industria Italiana